La musica degli ebrei in Italia: Una breve introduzione

Di Francesco Spagnolo (Università di California, Berkeley)

La storia della musica ebraica in Italia è antica, complessa e piena di contraddizioni. Storicamente, le origini dell’Ebraismo italiano risalgono a più di 2.000 anni fa. Ma nel corso degli ultimi secoli dell’era moderna, questa storia si è fatta più complessa con l’insediamento sul suolo italiano di comunità ashkenazite e sefardite, con le conseguenze di molteplici interazioni tra le tradizioni italiane, ashkenazite e sefardite da un lato e la cultura musicale italiana, essa stessa caratterizzata da molteplici differenze culturali, regionali e linguistiche tra le regioni stesse dall’altro. Le contraddizioni – dal canto loro – riguardano le numerose “identità”, visibili e invisibili, degli ebrei d’Italia : il segreto dei ghetti, luoghi di esclusione, ma anche di sorprendenti creazioni musicali rappresentate in modo emblematico nelle opere di Salomone Rossi (ca. 1570-1630, attivo a Mantova presso la corte dei Gonzaga); i conflitti e le convergenze nascoste tra ebraismo e cristianesimo, e la differenza tra la liturgia della Chiesa e quella della sinagoga, nel tempo stesso tenua e inaccessibile; l’integrazione e la simbiosi culturale tra gli ebrei e l’Italia, un sentimento condiviso magnificamente espresso nell’opera Nabucco (1842) di Giuseppe Verdi, parabola biblica dell’esilio, dell’emancipazione e dell’unificazione nazionale; ed, infine, il carattere tragico della parentesi fascista, che portò all’Olocausto ed alla distruzione della vita sinagogale italiana. Ma la principale contraddizione che caratterizza la musica ebraica in Italia è che, nonostante la sua innegabile ricchezza, essa costituisce ancora un fenomeno relativamente oscuro per gli specialisti dell’ebraismo. Musicologi e storici della cultura spesso conoscono molto poco delle tradizioni musicali degli ebrei italiani e faticano a comprendere un panorama culturale in cui ebraismo e “italianità” si fondono armoniosamente.


Le fonti musicali che testimoniano lo sviluppo della musica liturgica ebraica in Italia prima del XIX secolo sono rare, preziose ed estremamente frammentarie. Infatti, la più antica fonte musicale ebraica conosciuta – annotazioni manoscritte del XII secolo di Johannes, od Obadiah “il proselito normanno”, originario di Oppido Lucano (Fragment Cambridge TS. K 5/41 e Fragment Cincinnati ENA 4096b) – proviene dall’Italia, come numerose trascrizioni musicali (spesso incentrate sulle tradizioni orali del canto della Torah) realizzate da umanisti cristiani a partire dal XVI secolo, come quelle pubblicate da Giulio Bartolocci (1613-1687) nella Bibliotheca magna Rabbinica (volume 4, 1693).

A queste notazioni frammentarie seguirono nei secoli XVII e XVIII opere sinagogali, scritte da compositori ebrei (Salomone Rossi, Hashirim asher li-shelomoh, Venezia 1622-23) e non ebrei (Carlo Grossi, Cantata hebraica in dialogo, Modena o Venezia, prima del 1682 ; e il cristiano Giuseppe Lidarti, (Oratorio Ester, 1774), o da musicisti ebrei e non ebrei che operavano in stretta collaborazione. Tra questi ultimi si possono citare le trascrizioni di 11 canti sinagogali della tradizione orale di Venezia, pubblicati da Benedetto Marcello (1686-1739) nella sua raccolta Estro poetico-armonico: Parafrasi sopra li salmi (Venezia, 1724-1727); tre oratori ebraici anonimi per la festa di Hoshana Rabbah a Casale Monferrato (1732, 1733, 1735), e la musica per l’inaugurazione della sinagoga di Siena nel 1786, opera di un musicista cristiano professionista, Francesco Drei, e di un dilettante ebreo , Volunio (Zevulun) Gallichi. Molte, se non tutte, queste composizioni sono legate a rituali cabalistici, che spesso suscitavano l’interesse e la curiosità dei non ebrei che frequentavano le sinagoghe nel XVIII secolo, l’Età dell’Illuminismo.

Nel corso dei secoli XIX e XX il ruolo della musica nell’ebraismo italiano si è sviluppato seguendo molte direzioni, collegando mondi musicali molto diversi, come quello liturgico, artistico e popolare, ed estendendosi dalla sfera intima della sinagoga all’ambito dell’interpretazione pubblica. Durante questo periodo gli ebrei italiani hanno dovuto affrontare una serie di sfide: il passaggio dalla segregazione dei ghetti all’emancipazione sociale e politica; la formazione di una nuova identità nazionale durante il Risorgimento; l’urbanizzazione e la scomparsa delle numerose piccole comunità che, per secoli, avevano animato la vita ebraica italiana; la legislazione antisemita e la persecuzione durante la Seconda Guerra Mondiale; la ricostruzione della vita comunitaria ebraica dopo l’Olocausto, l’immigrazione di ebrei dal Nord Africa e dal Medio Oriente dopo la creazione dello Stato di Israele e, alla fine del XX secolo, l’emergere di una “cultura ebraica virtuale” attraverso la maggiore partecipazione di non ebrei alla creazione di prodotti culturali (soprattutto musicali) che la cultura dominante considera ebraici. Nel XIX secolo la composizione musicale ha conosciuto un boom spettacolare e praticamente ogni comunità italiana ha commissionato e raccolto decine di nuove composizioni polifoniche in particolare dedicate al culto sinagogale.

Questi manoscritti musicali riflettono un universo sonoro sinagogale che ricorda molti mondi musicali non ebrei : arie e recitativi evocano l’opera (e l’operetta), la liturgia della Chiesa cattolica e gli inni rivoluzionari del Risorgimento, il tutto cantato da piccoli ensemble vocali di ragazzi e d’adulti (a volte anche donne), accompagnati dall’organo o, a seconda degli spazi e delle risorse disponibili in ciascuna sinagoga, dall’armonium. Sugli spartiti compaiono i nomi dei compositori, e spesso degli esecutori.

. Tra loro vi erano degli ebrei locali dilettanti, il cui desiderio di scrivere ed eseguire musica era spesso accompagnato da donazioni in denaro alla comunità, dei musicisti professionisti ebrei (Michele Bolaffi e David Garzia a Livorno; Bonaiuto Treves e Ezechiello Levi a Vercelli; Giacomo Levi a Firenze e Torino; Settimio Scazzocchio, Saul Di Capua e Amadio Disegni a Roma; Alberto Zellman a Trieste; Benedetto Franchetti a Mantova; Sabato Errera a Verona; Vittorio Orefice a Padova; Vittorio Norsa a Milano, e molti altri); e degli strumentisti e dei compositori non ebrei, che scrissero musiche per la Chiesa cattolica (Eugenio Testa a Casale Monferrato) nonché composizioni per cerimonie ufficiali (G. Smoltz, sempre a Casale Monferrato), o delle opere d’opera, come testimonia l’emblematico caso di Carlo Pedrotti (1817-1893), figura centrale del teatro musicale europeo dell’Ottocento, le cui opere sinagogali furono utilizzate sia dalla comunità della sua città natale, Verona, che dalle sinagoghe piemontesi quando fu direttore del Teatro Regio a Torino (1868-1882).

La produzione della musica sinagogale ha continuato fino al XX secolo, quando i cori sinagogali femminili e misti divennero sempre più popolari, ma si interruppe quasi completamente dopo la seconda guerra mondiale, quando i cori e gli organi furono progressivamente abbandonati, con la notevole eccezione di Roma, dove la musica corale sinagogale e la composizione continuano a fiorire fino ad oggi.

Dalla fine dell’Ottocento musicisti e ricercatori hanno iniziato a trascrivere ed, in seguito, registrare le melodie delle sinagoghe, conservandole in forma manoscritta (Marco Amar ad Alessandria, David Ghiron a Casale Monferrato, Amadio Disegni a Roma). Tuttavia alcune melodie sono state pubblicate in articoli e libri (Federico Consolo a Livorno, 1892; Elio Piattelli a Roma, in Piemonte ed a Firenze, 1967, 1986 e 1992). Le registrazioni sul terreno effettuate negli anni ’50 dal ricercatore italo-israeliano Leo Levi (1912-1982) hanno permesso di ricostruire un paesaggio sonoro comprendente delle musiche di 27 tradizioni liturgiche distinte, preservate nelle comunità ebraiche italiane, ashkenazite e sefardite in tutta Italia. Queste ricerche etnografiche hanno tentato di cogliere le vestigia di tradizioni orali che vanno progressivamente scomparendo : alla fine del XX secolo, delle 108 sinagoghe attive nella penisola (elencate in un censimento effettuato nel 1865-1866), solo una manciata di comunità ebraiche conservavano ancora una tradizione orale viva e distinta.

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